Squali, grandi predatori.. predati
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Tsunami e barriere coralline..
 
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La barriera corallina è salva

Lo squalo balena

Le spugne perforanti
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Lo squalo martello

Lo squalo tigre

Lo squalo bianco

Lo spiracolo degli squali

Lo squalo preistorico

La chimera

Carcharodon megalodon

Lo squalo elefante

Megachasma pelagios

Verdesca (Prionace glauca)

Otodus obliquus (Lamna obliqua)

Antichi squali

"Sharm attack"

Lo squalo longimano

Lo squalo più piccolo

Lo squalo rosa (Goblin)

Lo squalo della Groenlandia

Lo squalo mako

Squalo zambesi

Lo squalo limone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Squali, grandi predatori.. predati

 

Gli squali, soprattutto dopo la diffusione di films che hanno dato una immagine distorta dei loro comportamenti, sono stati considerati come dei predatori assassini, alla continua ricerca di cibo, attività che li porterebbe a nutrirsi di qualsiasi cosa si presenti loro davanti, senza distinzione alcuna..

La realtà è molto diversa, questi eleganti pesci cartilaginei sono soltanto dei grandi predatori, inseriti quasi ai vertici della catena alimentare dell’ambiente in cui vivono e come tali hanno delle notevoli potenzialità offensive. Ogni specie di squalo è abituata a cibarsi di determinate prede, le quali sono cacciate con tecniche che nulla lasciano al caso o alla fatalità e la ricerca di cibo, come in ogni organismo vivente, occupa tempi importanti nell’arco della vita di questi animali. Non viene predata qualsiasi cosa si presenti davanti ai loro occhi, ma nel 99% delle specie conosciute c’è una vera e propria discriminazione, basata su istinti e preferenze.





Squalo bianco (Carcharodon carcharias)



L’uomo infatti, non facendo parte della fauna acquatica e probabilmente a causa del poco tessuto adiposo presente nella sua struttura corporea, non rientra nelle prede di nessuno squalo! Soltanto alcune specie che raggiungono grandi dimensioni possono rappresentare un pericolo per l'uomo, come lo possono essere tutti i grandi predatori che vivono sulla terra.  (Il 50% degli squali non supera il metro di lunghezza, l'82% non supera i 2 metri, e soltanto il 4% raggiunge dimensioni superiori ai 4 metri, tali da rappresentare un serio pericolo).

Ogni anno, in tutti i mari del globo, ci sono circa 60 attacchi,
da 0 a 6 sono mortali. In quasi tutti questi casi la morte è causata dalla gravità del primo ed unico morso che lo squalo usa, insieme agli altri sensi, per rendersi conto di quello che si trova davanti, proprio perché è abituato a selezionare le sue prede e discriminare ciò che non rientra nella sua dieta. Lo squalo infatti non continua l’attacco e non ingoia la preda ma si allontana..

Ci sono poi delle situazioni molto pericolose che possono attirare questi grandi predatori e far aumentare il rischio di un attacco, come durante una frenesia alimentare o con la presenza di sangue ed altri liquidi corporei in acqua.
Anche la sagoma di un surfista che nuota con le mani verso l’esterno sopra la sua tavola può essere scambiata per quella di un mammifero marino, preda ambita dai grandi squali..
Sono noti alcuni attacchi a pescatori subacquei che nuotavano in acque dove era stata riversata grande quantità di sangue a causa della loro pesca e dove le prede morenti venivano fissate pericolosamente alla cintura..

Tutte queste considerazioni, unite al dato di fatto che è l’uomo a catturare ed uccidere ogni anno circa 100 milioni di squali, principalmente per alimentare il mercato alimentare e commerciale, possono farci pensare che attualmente lo squalo, suo malgrado, si sia trasformato da grande predatore a.. grande preda.



       

Squalo mako (Isurus oxyrinchus)  e  squali pinna bianca (Triaenodon obesus)

 

Molti aspetti della biologia ed etologia degli squali non sono ancora molto bene conosciuti, soprattutto a causa della difficoltà di studiare questi pesci nel loro ambiente naturale e per il loro comportamento quasi sempre schivo e solitario. Di seguito vengono inseriti alcuni cenni riguardanti la storia evolutiva, le biologia e la morfologia di questi splendidi pesci cartilaginei..

Gli squali, insieme a razze, torpedini e chimere, sono  pesci cartilaginei appartenenti alla classe dei condroitti (Chondroichthyes) e sono presenti in tutti i mari del globo, dalla superficie fino a 1500 metri di profondita', dalle calde acque tropicali, ai freddi mari artici ed antartici.

Esistono circa 450 specie di squali, con dimensioni che vanno dai soli 24 cm. del gattuccio pigmeo dalla coda a nastro (Eridacnis radcliffei) ai 18 metri circa dello squalo balena (Rhincodon typus), che con queste misure rappresenta anche il più grande pesce fino ad ora conosciuto. (elenco squali)

(Nel Mediterraneo sono presenti una cinquantina di specie diverse di squali, tra cui lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) lo squalo toro (Carcharias taurus) lo squalo volpe (Alopias vulpinus) lo squalo mako (Isurus oxyrinchus) lo squalo grigio (Carcharinus plumbeus) la verdesca (Prionace glauca) lo squalo martello comune (Sphyrna zygaena) lo squalo elefante (Cetorhinus maximus).


I fossili più antichi di questi animali risalgono a circa 400 milioni di anni, e si pensa che la loro evoluzione sia arrivata al massimo livello addirittura già da 100 milioni di anni.
Lo scheletro degli squali non è osseo, come quello dei pesci comuni, ma cartilagineo, formato cioè da cartilagine, simile a quella che costituisce l'orecchio o la trachea umana.
Al contrario dei pesci comuni, gli squali non possiedono la vescica natatoria (un corpo galleggiante interno che può riempirsi di gas) la cui funzione di sostegno al galleggiamento è sostituita in parte dal grosso fegato, che più arrivare al 25% del peso dell'animale.  Sono pesci predatori e nella loro dieta possono essere presenti pesci, squali più piccoli, crostacei, molluschi e mammiferi marini.

Fino ad ora si conoscono tre specie di squali che si nutrono di plancton, filtrando l'acqua che entra dalle loro mandibole, e che quindi non sono predatori attivi.  Essi sono il già citato squalo balena (Rhincodon typus, fino a 18 m.) lo squalo elefante (Cetorhinus maximus, fino a 13 m.) e lo squalo grande bocca (Megachasma pelagios, fino a 5 m.).
 

Gli squali possiedono gli stessi sensi dell'uomo, più altri due a noi sconosciuti, che sono la capacità di percepire i campi elettrici e le onde di pressione diffuse in acqua.

Gusto: il senso del gusto negli squali è assicurato dalla presenza, nella bocca, ma anche  sulla superficie della loro pelle, di papille gustative simili a quelle umane.  Lo squalo quindi, può utilizzare questo senso anche con il semplice contatto della superficie corporea.

Tatto: lungo il corpo degli squali sono presenti cellule sensoriali che si trovano in stretta relazione con le papille gustative e che fanno rendere conto allo squalo quando avviene un contatto fisico.

Udito: negli squali è presente un orecchio interno, con la capacità di percepire soprattutto suoni di bassa frequenza, come quelli emessi da animali feriti, e quindi potenziali prede per questo superbo animale.

Olfatto: le narici degli squali, sempre ben visibili sulla parte inferiore del muso, sono costituite da due canali a fondo cieco, con al termine delle  cellule olfattive che analizzano la presenza di sostanze odorose disciolte in acqua.  La sensibilità olfattiva degli squali è molto sviluppata, si pensa che possano individuare 1 parte di sangue in 100 milioni di parti d'acqua.

Vista: la vista degli squali, contrariamente al pensiero popolare, è molto sviluppata.  La pupilla può restringersi o allargarsi in base alla quantità di luce, ed in molti squali è presente, dietro alla retina, il tapetum lucidum, una serie di placche riflettenti che amplificano la luce e permettono la vista anche di notte.  In condizioni di forte illuminazione il tapetum lucidum viene oscurato,  per non abbagliare la retina e provocare danni anche irreversibili.

Linee laterali: le linee laterali, una per ogni fianco dello squalo, sono costituite da cellule sensoriali che danno all'animale la capacità di percepire le onde di pressione dovute ai movimenti dell'acqua.

Ampolle di Lorenzini: sono degli organi che prendono contatto con l'esterno attraverso piccoli e numerosi forellini, presenti soprattutto nella regione del capo, pieni di una sostanza gelatinosa conduttrice, in comunicazione con terminazioni nervose.  In questo modo lo squalo ha la capacità di percepire i campi elettrici generati dagli animali (quindi individuare anche prede sotto la sabbia) e probabilmente riconoscere la propria posizione rispetto al campo magnetico terrestre.
 

Il corpo degli squali è ricoperto da squame placoidi, chiamate anche dentelli dermici. Essi hanno la stessa struttura di quelli, di maggiori dimensioni, che si trovano nelle mandibole.  Le squame placoidi, oltre a costituire una efficace protezione del corpo dello squalo, riducono anche la resistenza all'acqua marina, migliorando l'idrodinamicita' dell'animale.
I denti che si trovano nelle mandibole superiore ed inferiore sono squame placoidi modificate e molto grandi.  La loro forma e disposizione indicano di quali prede sono soliti cibarsi gli squali, infatti denti lunghi ed aguzzi, come quelli dello squalo toro (Carcharias taurus) sono adatti ad infilzare e trattenere piccoli pesci e cefalopodi, mentre quelli più larghi e tozzi, come quelli dello squalo tigre (Galeocerdo cuvier) sviluppano una maggiore resistenza e servono per frantumare gusci e tranciare pezzi di cibo.




     

Dente di squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e squalo toro (Carcharias taurus)

 

Nelle mandibole degli squali i denti sono disposti in più file, in genere sei, e gli ultimi verso l'interno della bocca sono inclinati, coperti da una piega di tessuto e non ancora completamente sviluppati. Durante la crescita essi sono soggetti ad uno spostamento in avanti per la continua formazione del tessuto gengivale a cui sono collegati. Nel loro avanzamento si raddrizzano progressivamente, a causa della semplice tensione meccanica, finchè non diventano del tutto funzionali. Dopo qualche tempo i denti delle file anteriori sono destinati a cadere, a seguito di rotture traumatiche o spontaneamente e si ritiene che vengano sostituiti singolarmente ogni 8-15 giorni, più frequentemente negli esemplari più giovani. Si ritiene che alcune specie rinnovino un'intera fila di denti alla volta.

 

 

Tsunami e barriere coralline..

 

Il giorno 23 dicembre 2004 a nord delle Isole Macquarie (vicino l’Australia) si scatena uno dei terremoti più forti che si ricordino nella storia di quell’angolo del pianeta. La magnitudo è 8,5 della scala Richter, un valore altissimo e nelle ore successive seguono alcune scosse di assestamento.
La Geologia insegna che in genere un forte sisma non ne causa altri ed anche per questo motivo nessuno poteva immaginare che dopo appena tre giorni si sarebbe registrato, a circa 3000km di distanza, il più violento sisma degli ultimi 40 anni..

Il 26 dicembre infatti un terremoto con epicentro a nord-ovest dell’isola di Sumatra, nei fondali dell’Oceano Indiano, libera una energia pari a quella che si avrebbe con l’ esplosione di 20000 bombe atomiche..
Questo evento causa lo spostamento della Terra di 3 cm rispetto al suo asse di rotazione, un accorciamento della giornata di 3 milionesimi di secondo, uno spostamento dell’isola di Sumatra di 30 mt verso sud-ovest e soprattutto uno dei più potenti e devastanti tsunami mai osservati a memoria d’uomo..

Lo tsunami, dal giapponese “onda del porto”, può essere causato, come in questa situazione, da un forte terremoto sottomarino che turba e sposta la colonna d’acqua sovrastante molto violentemente dal basso verso l’alto.
Questo spostamento genera una serie di onde anomale che possono diffondersi per migliaia di km a velocità altissime, fino a raggiungere la terraferma.
In mare aperto le onde hanno una altezza minima, appena 50 cm o meno, ma quando raggiungono fondali più bassi le masse d’acqua, a causa dell’attrito, diminuiscono la velocità della loro corsa e si innalzano anche fino a 10 metri, come accaduto il 26 dicembre, inondando la terraferma..
Prima che le onde si abbattano sulla costa c’è una forte risacca, il mare si ritira per decine di metri e questo è il segnale che l’acqua sta per invadere la costa..
Le aree colpite dallo tsunami del 26 dicembre sono state la Thailandia, l’India, lo Sri Lanka, l’Indonesia, la Malesia, le Maldive e le onde sono arrivate anche in Africa, sulle coste della Somalia, Kenia e Tanzania.



(Zone colpite dallo tsunami. Il punto rosso indica il probabile punto di partenza delle onde anomale)

 

(Zone colpite dallo tsunami. Il punto rosso indica il probabile punto di partenza delle onde anomale)
 

Tutte le formazioni coralline di queste zone, le più ricche del globo come biodiversità (con circa 1700 specie diverse di pesci e 400 di madrepore) sono state colpite duramente dalla forza distruttrice delle onde e su di esse si sono riversate grandi quantità di fango, sabbia e rifiuti.
Le onde di ritorno che hanno invaso la terraferma hanno infatti trascinato in acqua detriti, rifiuti, veleni ed idrocarburi strappati dalle industrie e dalle abitazioni dell’uomo.

Sono ancora poche, a due mesi dall’evento, le rilevazioni subacquee effettuate per rendersi conto dello stato della flora e fauna, ma sono risultate subito evidenti le grandi quantità di sabbia che hanno ricoperto la barriera corallina..
Questa copertura può mettere a rischio la sopravvivenza del corallo stesso in quanto non permette alle alghe zooxantelle che vivono dentro di esso di ricevere la luce del sole ed effettuare la fotosintesi clorofilliana.

 

(Immagini tratte da “Il corriere della sera”: l’onda anomala raggiunge la costa)
 

 Se questa situazione perdurasse diversi mesi le alghe rischierebbero di morire, mettendo in seria difficoltà anche il corallo che con esse vive in simbiosi, ricevendo sostanze organiche importanti per lo sviluppo e per la costruzione della barriera.

Una soluzione potrebbe essere quella di organizzare un piano di “pulizia” dei coralli che coinvolga numerosi e volenterosi subacquei facendo tornare letteralmente alla luce queste meraviglie della natura. Si spera inoltre che le forti correnti che sono presenti in molte di queste zone possano ripulire naturalmente la barriera e contribuire al ritorno di una situazione di normalità.

La forza delle onde ha inoltre causato la rottura di molti coralli ramificati, frane di porzioni di reef (addirittura blocchi di 1-2 m cubi sradicati dalle pareti) con l’accumulo di essi sui fondali, compresi quelli delle pass, che in alcune zone hanno diminuito la loro profondità di 2-3 metri!
(le pass sono delle piccole interruzioni della barriera corallina che collegano l’oceano con il mare interno all’atollo, attraverso le quali in genere scorrono forti correnti).

(Immagini della barriera corallina colpita dallo tsunami, con ventagli e coralli ramificati spezzati)
 

Le numerose aree distrutte possono inoltre aver lasciato l’abbondante fauna tropicale di cui questa area è ricchissima senza rifugio, come per esempio il pesce pappagallo che è solito utilizzare le cavità tra i coralli come riparo per la notte. Questo pesce si nutre di alghe che strappa dalla barriera con il suo becco corneo e le zone dove era solito nutrirsi potrebbero essere state spazzate via.
L’aragosta, come altre specie di crostacei e molluschi tropicali che si nascondono negli anfratti delle madrepore, potrebbe essersi ritrovata senza habitat e costretta a riadattarsi e colonizzare altre zone. Il barracuda, grande predatore che può arrivare a 2 metri di lunghezza che si muove in branco durante il giorno e caccia di notte, ha bisogno per vivere di acque limpide ed i movimenti causati dallo tsunami potrebbero ora farlo trovare in difficoltà.

Quali zone sono state maggiormente colpite dalla violenza dello tsunami?

L’area asiatica ed in particolare le barriere coralline delle isole Andamane e Nicobare sono state maggiormente raggiunte dalla violenza delle onde anomale. Qui sono stati osservati numerosissimi cespugli di coralli ramificati spezzati, cumuli di frammenti, detriti ammassati nei fondali e porzioni di reef crollati e parzialmente ricoperti di sabbia..
Nelle aree più lontane, raggiunte da una minor violenza delle acque, le barriere coralline sembrano aver riportato danni di minore entità.
Alle Maldive ad esempio, in base allo studio preliminare effettuato dal Marine Science Group dell’Università di Bologna, i danni sarebbero più contenuti e rappresenterebbero soltanto il 6% dell’intero sistema corallino, recuperabile in tempi relativamente brevi.
In questo caso viene ipotizzata una funzione di protezione dell’isola di Sri Lanka che avrebbe frenato la corsa delle onde anomale e della particolare conformazione dei profondi fondali dell’arcipelago.

 Questi sono gli effetti che l’impatto delle onde anomale ha generato direttamente ed indirettamente sull’ambiente naturale della barriera corallina dell’area asiatica. Quali sono stati invece gli effetti diretti dell’arrivo dello tsunami sulla fauna marina e terrestre?

I risultati delle prime ricerche sembrano sorprendenti. Tutti gli animali che avevano la possibilità di allontanarsi in fretta lo avrebbero fatto poco prima dell’arrivo delle onde anomale riducendo le loro perdite a livelli molto bassi. Per quanto riguarda la fauna marina sicuramente alcuni pesci, molluschi e crostacei di piccole dimensioni saranno stati sbattuti con esito mortale sulla barriera ma la maggioranza di essi, come concordano gli etologi che hanno considerato il caso, avranno percepito con buon anticipo l’arrivo delle masse d’acqua. Questo grazie ai loro acutissimi sensi, soprattutto la capacità di captare frequenze altissime o bassissime che li avrebbe allertati con buon anticipo e permesso loro di rifugiarsi in acque a profondità sicure.
(Ovviamente i rilevamenti subacquei hanno fatto notare che in alcune zone non c’è più abbondanza di pesci ma questa situazione è probabilmente collegata all’alterazione dell’habitat, con la distruzione di rifugi e tane nelle barriere, situazione riconducibile a normalità in tempi relativamente brevi).

 Queste “informazioni” riguardanti l’arrivo di onde anomale sarebbero poi state percepite anche dagli animali terrestri, facendoli allontanare in territori lontani dalle coste ed a maggiori altezze sul livello del mare.
Nello Yala National Park dello Sri Lanka infatti, casa di  centinaia di bufali, elefanti, coccodrilli, leopardi, scimmie ed altri numerosi mammiferi non è stata trovata nessuna traccia di carcasse nonostante lo tsunami in quei territori del parco sia arrivato con grande violenza inondandolo quasi completamente! 

Bibliografa:

- “Tsunami Survey Expedition, Maldivian Coral Reefs, 2 weeks after” Marine Science Group.
- “Il rischio tsunami” di L. Bignami.
- Articoli: “Tsunami, cosa ha protetto le Maldive” e  “La verità sulle Maldive”.
- Articolo: “Il sesto senso ha salvato tutti gli animali”.

 

 

La barriera corallina è salva

 

L’allarme lanciato lo scorso 26 dicembre 2004, dopo il forte tsunami causato da un terremoto sottomarino di magnitudo 8,5 della scala Richter nell’area del Sud-Est asiatico, viene oggi giudicato eccessivo.

Le barriere coralline infatti, presenti sul pianeta da più di due miliardi di anni, sembrano aver superato anche questo catastrofico evento naturale.
In particolare due studi realizzati in Thailandia confermano che poco più del 10% delle zone colpite (su 174 siti esaminati) hanno riportato danni rilevanti (colpite soprattutto le isole Phi Phi e Surin)

Comunque anche in questi siti la barriera ed i suoi abitanti stanno “reagendo” ed in tempi relativamente brevi questo ambiente dovrebbe tornare agli antichi splendori.
Le forti correnti, presenti in molti dei siti influenzati dalle onde di ritorno dello tsunami, stanno allontanando i rifiuti, gli agenti inquinanti e le sabbie che si sono depositate sopra i coralli, permettendo alle alghe simbionti e quindi alla barriera stessa di sopravvivere.
Anche la fauna tropicale starebbe di nuovo popolando il reef, facendo così ritornare intatta quella incredibile biodiversità di cui questo ambiente è stato sempre caratterizzato.
 

      

            (pesce farfalla e immagine della barriera corallina)

 

 

 

Le spugne perforanti

 

Nell’ambiente marino ci sono alcuni organismi microscopici, “parenti” stretti delle morbide spugne naturali (Spongia officinalis) con cui i nostri nonni si lavavano, che però presentano caratteristiche completamente diverse da esse..

Trascorrono la loro vita nel perforare, triturare e disgregare tutto ciò sia fatto di carbonato di calcio, in processi che possono durare anni e causare la morte di organismi come Molluschi e madrepore.. stiamo parlando delle SPUGNE PERFORANTI…

 Le spugne perforanti sono degli organismi, appartenenti al phylum dei Poriferi, che hanno la capacità di bucare i substrati carbonatici, minerali e biogenici presenti nell’ambiente marino.    
Il substrato può essere costituito, oltre che da fondali rocciosi, anche da conchiglie di Molluschi, alghe corallinacee e scheletri calcarei di madrepore e coralli.
La perforazione avviene per mezzo di secrezioni acide che permettono alla spugna di creare una complessa rete di camere e gallerie all’interno delle quali avviene lo sviluppo.
Dopo essersi fissata al substrato calcareo, la larva di spugna inizia a scavare una serie di gallerie, di forme e dimensioni variabili nelle diverse specie, aderendo molto fortemente con i suoi tessuti alle pareti calcaree. Questo stadio perforante e’ detto forma a.

Il corpo della spugna è sostenuto da un insieme di fibre di collagene, la SPONGINA e da elementi inorganici, le SPICOLE.  Le spicole calcaree sono le più primitive, mentre quelle silicee sono le più frequenti ed entrambi i tipi, con dimensioni e forme caratteristiche per ogni specie, sono elementi fondamentali per il riconoscimento sistematico delle spugne.
 

Spugna perforante Clona orientalis: gallerie in una madrepora, scala 4 mm.
 

Gli esemplari di alcune specie, in condizioni favorevoli, non trovando più lo spazio per scavare nuove gallerie, proseguono il loro sviluppo all’esterno assumendo la tipica forma incrostante b.
Infine, se la spugna si accresce ulteriormente in forma libera, chiamata g, arriva a disgregare completamente il substrato originario!!

 L’azione delle spugne perforanti, la cui famiglia più importante è quella dei “Clionidi”, diffusa ampliamente nel Mediterraneo, rappresenta quindi un importante elemento nei processi di erosione e di produzione di sedimenti.
Nelle barriere coralline la crescita delle madrepore viene ostacolata, producendo un indebolimento delle colonie ed una accelerazione dell’azione demolitiva delle onde.  Le conchiglie dei Molluschi risultano particolarmente fragili, indebolite e tendono a spezzarsi con gravi risultati anche economici nelle aree dove ne viene praticato l’allevamento.

 Per avere informazioni sulle spicole il tessuto della spugna viene disciolto in acido nitrico bollente e ciò che rimane viene visto attraverso un microscopio elettronico.E’ in questo momento che l’uomo può osservare un’altra delle innumerevoli magie della natura..

Forme bellissime, eleganti, bizzarre, una micro-architettura favolosa che ricorda quella dei cristalli di neve per splendore ed incredibile senso di fragilità. (anche se in realtà fragili non sono, visto che risultano indenni dall’azione dell’acido nitrico).
 

Spicole: dicotrieni e microrabdi
 

Sono decine i nomi che sono stati dati alle spicole di varia forma e dimensioni (le dimensioni delle spicole in immagine vanno dai 5 ai 50 millesimi di mm!). A seconda della grandezza esse si distinguono in “megasclere” e “microsclere” e qui di seguito ne vengono descritti alcuni tipi.
Le megasclere possono avere estremità appuntite (oxea), un’estremità appuntita e una tronca (stilo), un’estremità appuntita e una rigonfia (tilostilo), ambedue le estremità tronche (strongilo), ecc...
Oltre a ciò la spicole possono avere delle spine (acantoxea, acantostilo, acantostrongilo), essere triraggiate (triassoni) e tetraraggiate (tetrassoni), ecc..
Le microsclere possono avere forma stellata pluriraggiata (aster); i raggi nascono da una parte centrale più o meno stretta (euaster, sferaster) o da un asse più o meno piegato (metaster, spiraster), ecc..
 

  

Spicole: oxee, microrabdi tilostilo, anfiaster,
 

La Spongia officinalis la “spugna naturale” usata soprattutto in passato nelle nostre sale da bagno, ha una consistenza elastica e morbida, senza spicole, solo spongina ed è per questo motivo che il contatto con la pelle non crea abrasioni o ferite.

Il corpo delle spugne perforanti è costituito da due strati, non organizzati in veri tessuti, con interposto uno strato intermedio; la parete esterna appare tutta perforata ed attraversata da canali che permettono il passaggio dell’acqua dall’esterno in una cavità interna, lo “spongocele”, da cui l’acqua fuoriesce attraverso un’apertura, l’osculo.
 

 

Spicole: oxiaster lisci
 

Effetto dell’azione delle spugne perforanti:

L’escavazione del carbonato di calcio da parte delle spugne perforanti è un processo biologico importante nell’ecologia dell’ambiente marino.  Nelle acque tropicali e subtropicali le numerose specie di spugne perforanti sono tra i principali agenti (insieme a batteri, alghe, molluschi, echinodermi, pesci, ecc.) nei processi di erosione di substrati calcarei; in particolare nelle barriere coralline le spugne, bilanciando o a volte superando i tassi di calcificazione dei coralli, svolgono una funzione chiave nei procesi evolutivi delle stesse. L’erosione attiva determina la produzione di grandi quantità di fine sedimento calcareo che andrà a costituire le spiagge coralline carbonatiche.

 L’azione di indebolimento delle strutture coralline, causato dalle camere e dalle gallerie di perforazione, si riflette nei rapporti ecologici tra i coralli delle barriere, modificandoli: le colonie più fragili (perchè attaccate) saranno facilmente spezzate e staccate dagli agenti atmosferici e forse sostituite da altre specie di corallo; le parti superficiali erose potranno essere colonizzate da numerosi organismi.

 Anche nei mari temperati come il Mediterraneo la bioerosione delle spugne perforanti è importante nel rimaneggiamento e nell’evoluzione della costa, e produce quantità significative di sedimento sotto forma di frammenti a grana fine.  L’attività di perforazione di queste specie può avere effetti quasi catastrofici con rilevanti risvolti economici in quelle aree dove viene praticato l’allevamento di bivalvi (ostriche in particolare) e la pesca al corallo rosso.  Le ostriche attaccate risultano particolarmente fragili e tendono a spezzarsi quando vengono maneggiate sia durante il consumo, sia durante le fasi della semina negli allevamenti di ostriche produttrici di perle.
 

Conchiglia (Trochus niloticus) attaccata da spugne perforanti

 

 

 

Articoli scritti da Marco Angelozzi - www.prionace.it

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